La Siria non è un gioco

Oggi voglio raccontarvi una storia. E non è una storia di quelle che finisce bene, almeno non adesso. Però ci prova. Perché il suo protagonista, Rami, non smette mai di sperare. Rami è un padre e businessman siriano che vive a Helsinki, in Finlandia, dove si è trasferito trent’anni fa da Aleppo, e dove ha costruito la sua vita e la sua famiglia. Nella pace. Ma, davanti alla guerra che ha colpito e colpisce ogni giorno il suo paese natale, la Siria, non può e non vuole arrendersi. E lotta a modo suo. Come può. Portando aiuti ogni due mesi in Siria: denaro soprattutto per acquistare medicine, cibo, beni di prima necessità. E giocattoli. Sì, giocattoli. Perché una volta, mentre salutava i sei figli prima di una delle sue tante partenze, il più piccolo di loro gli ha affidato il suo orsacchiotto. E gli ha detto di portarlo a un bambino siriano “perché anche lui avrà voglia di giocare”. Già. I bambini hanno diritto di giocare. Di vivere in pace e in salute. Accanto ai propri genitori. Non sotto le bombe, non sotto le macerie, non nel veleno che li uccide insieme ai propri padri, madri, fratelli e sorelle.

Rami è diventato così The Toy Smuggler, il contrabbandiere di giocattoli. E la sua missione ha aperto il cuore e per fortuna anche il portafoglio di molti decisi a contribuire, prima di tutto i mass media che hanno raccontato la sua vicenda.

Io ne sono venuta a conoscenza tramite un’amica comune e l’amico David Sye, fondatore di Yogabeats e sostenitore da sempre di progetti umanitari in zone di conflitto. Insieme a lui, abbiamo iniziato una piccola raccolta fondi.

Se volete, donate. Se non volete, leggete la storia di Rami. Informatevi su quello che sta accadendo in Siria. Non dimenticate. Non dimentichiamo. La storia, alla fine, la facciamo noi. Facciamola meglio. Facciamola buona.