Undici settembre: il giorno delle rose e delle spine
Come ogni lunedì, mi sono messa a pianificare i post della settimana. A voce alta, come faccio spesso. Che cosa posto, oggi? Oggi è l’undici settembre, mi ha risposto il mio compagno dal divano. Così, sono andata a riaprire le foto che pochi mesi fa, lo scorso aprile, ho scattato a New York al memorial di Ground Zero, dopo una visita “faticosa” per il cuore e i sentimenti. Perchè nessuna ferita, come quella dell’undici settembre, ha inciso la carne e l’anima della mia generazione. Sono nata negli anni Settanta quando le guerre mondiali con le sue indicibili tragedie erano già storia. Sono nata quando il terrorismo in Italia stava fortunatamente spegnendosi. Sono nata quando la Guerra Fredda, per noi ragazzini, era una espressione che non comprendevamo tanto bene, che faceva capolino nei titoli delle nostre prime canzoni “da grandi”: Nikita di Elton John, Russians di Sting… Insomma, la mia è stata una generazione che, in Italia, non ha conosciuto la guerra. Anni dopo, ci sarebbero stati la guerra del Golfo, il Kosovo e Sarajevo, ma nessuno di questi conflitti ha aperto il fuoco nei miei ricordi. Lo ha fatto l’undici settembre, in una giornata in cui pensavo alle sfilate di moda di NY e mi rammaricavo di non essere riuscita a partire e partecipare. Una giornata che ha segnato l’inizio di una guerra, l’unica, che abbia conosciuto direttamente: quella degli attentati terroristici di matrice islamica -sempre che sia così- che, da allora in poi, ha colpito le “mie” città, quelle in cui si va per un concerto, un weekend romantico, una mostra, o soltanto perchè c’è un volo low cost che ci porta: Madrid, Londra, Tolosa, Bruxelles, Parigi, Nizza, Berlino, Istanbul, Stoccolma, Barcellona… La pace, da allora, è diventata sempre di più una parola e non un fatto. Almeno per me. Ieri sera ci siamo guardati un film d’azione London has fallen: anche lì un attentato, anche lì attacchi sanguinari all’Europa. Anche lì il terrore di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma forse sono tutti posti sbagliati. A Ground Zero, dove, tra le altre testimonianze, ho ritrovato le magnifiche fotografie di Joe McNally che ritraggono i pompieri e gli uomini che hanno salvato i salvabili -e Joe McNally è stato mio insegnante di fotografia, ho curato per lui una mostra in Italia-e una frase tra tante: quella della moglie di un pilota ucciso nello schianto dopo uno dei dirottamenti.
““If we learn nothing else from this tragedy, we learn that life is short and there is no time for hate.” —Sandy Dahl, wife of Flight 93 pilot Jason Dahl
“Se non impariamo niente da questa tragedia, impariamo almeno che la vita è breve e non c’è tempo per l’odio”.
Non abbiamo imparato niente, infatti. Soltanto l’odio. Per quello purtroppo c’è stato tempo. E forse ce n’è ancora. Siamo in guerra tutti i giorni. Siamo in pace tutti i giorni. Ce la dobbiamo costruire ora per ora, minuto per minuto. È una conquista quotidiana.
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