Ecco quali sono le ragioni di Malta
Qualche settimana fa il direttore di Grazia Silvia Grilli mi ha chiesto di raccontare ai lettori se e come Malta accoglie i migranti che dalla Libia tentano di raggiungere l’Europa oppure se, come sostiene il ministro degli Interni Matteo Salvini, l’isola dovrebbe e potrebbe fare di più. Così, ho provato a mettermi dalla parte di Malta e ho ascoltato le sue ragioni, o meglio quelle di cui la governa e la gestisce, ma anche di chi, come le ONG, ci lavorano ogni giorno.
Qui, e sulle pagine del settimanale adesso in edicola condivido con voi risultati e riflessioni dall’isola che mi ha accolto cinque anni fa. E, per la prima volta, riporto la risposta del premier maltese Joseph Muscat a Salvini e il suo invito all’Europa, affinchè tutta la UE si faccia carico della tragica situazione delle migrazioni.
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A 53 miglia a sud della Sicilia e a duecentosei a nord della Libia, la Repubblica di Malta –due isole e un isolotto disabitato che formano l’arcipelago delle Pelagie- è stata nei secoli crocevia di invasioni, dominazioni, lotte, conquiste, sconfitte, e, più di tutto, accoglienza.
Oggi come ieri, la sua posizione geografica, così strategica nel mezzo del Mediterraneo, la colloca sul palcoscenico della storia e della geopolitica, nonostante le ridotte dimensioni: con un’estensione di 315,6 chilometri quadrati–quella, per intenderci, di una media provincia italiana-è uno degli stati più piccoli e insieme densamente popolati al mondo, con una conurbazione di oltre 440mila abitanti (al 17 luglio 2017) che, dalla capitale La Valletta, si estende lungo un mosaico di centri abitati minori, spesso intrecciati e indistinguibili agli occhi di chi approda sulle isole per la prima volta.
Di fatto, questa manciata di terra e roccia così densamente popolata (1363 abitanti per chilometro quadrato) costituisce l’ultimo lembo d’Europa e di cristianità, nel mare che bagna anche il Maghreb, il Medio-Oriente e in generale il mondo arabo e musulmano. Quel mare che, negli ultimi anni, è diventata una frontiera drammatica, lungo la quale centinaia di migranti in fuga dalle coste libiche rischiano ogni giorno la vita nel tentativo di aggrapparsi all’Unione Europea.
Come evidenziato dagli ultimi dati di UNHCR e OIM, dal mese di giugno 2018 si sta registrando la più elevata percentuale di morti in mare, con una media di circa 10 vittime al giorno. «Anni di fake news e campagne di odio stanno mietendo i loro frutti con una cittadinanza sempre più indifferente ed incattivita verso i migranti», dichiara Regina Catrambone, co-fondatrice di Moas, l’ONG con sede a Malta che, fino all’anno scorso, era in prima linea nei salvataggi e oggi continua la sua opera di sensibilizzazione dal Bangladesh, dove si dedica all’assistenza medico-sanitaria dei Rohingya. «Continuando a rappresentare chi arriva su un barcone come un criminale e la condizione dei migranti come “pacchia”, si perde di vista la gravità degli abusi che queste persone subiscono e la precarietà a cui la cattiva accoglienza li condanna. Stiamo diventando insensibili alla sofferenza altrui», ribadisce, con un chiaro riferimento alle parole e alle azioni del Ministro italiano dell’Interno Matteo Salvini. Il quale ha richiamato più di una volta Malta a un maggiore interventismo e disponibilità a consentire gli sbarchi dei migranti sul proprio territorio, soprattutto se tratti in salvo nella zona SAR (Search and Rescue, ovvero ricerca e salvataggio) maltese, confinante con le acque della Libia.
D’altro canto, Malta si attiene ai regolamenti internazionali che prevedono, in caso di salvataggio, di condurre i migranti nel “luogo sicuro” più vicino (in inglese place of safety), che fornisca garanzie fondamentali ai naufraghi e cioè dove 1) la sicurezza e la vita dei naufraghi non è più in pericolo; dove 2) le necessità primarie (cibo, alloggio e cure mediche) sono soddisfatte e 3) dove può essere organizzato il trasporto dei naufraghi verso una destinazione finale.
Un “luogo sicuro”, sottolinea UNHCR, deve essere individuato dal MRCC (Maritime Rescue Coordination Center, il centro di coordinamento delle operazioni marittime) che ha la responsabilità. In altre parole, la centrale operativa che riceve la richiesta d’aiuto deve anche scegliere il luogo dove portare i naufraghi. E, nella stragrande maggioranza dei casi, è il centro italiano di Roma a essere chiamato in causa, sia perché è spesso Lampedusa il porto più vicino e più sicuro, sia perché gli stessi migranti auspicano di sbarcare in Italia e da lì spostarsi negli altri Paesi dell’UE. Lo testimonia Marcelle Bugre, project developer del network di ONG maltesi TSN, impegnate nell’accoglienza e nell’inserimento dei rifugiati a Malta, attraverso l’educazione e la formazione professionale, nonché l’assistenza nei casi di malattie mentali.
«La maggior parte dei migranti spera nel ricongiungimento con famigliari che già sono stati accolti in Unione Europea, o di prendere la via del Nord-Europa», racconta. « Si calcola che meno del 30% dei beneficiari della protezione restano a Malta, i più sfruttano la possibilità di spostarsi ».
Nonostante sia lo stato più piccolo dell’UE, Malta accetta infatti 18 richieste di asilo ogni 1000 abitanti, posizionandosi al secondo posto nella classifica dei Paesi più “accoglienti” –l’Italia è solo***-. Solo nel 2017, ci sono state più di 1500 richieste di asilo avanzate principalmente da siriani, libici, somali ed eritrei. Come precisa Vanessa Frazier, l’ambasciatore maltese a Roma, «Malta inoltre non chiude i suoi confini ai migranti cosiddetti secondari, per esempio a coloro che dall’Italia o da altri Paesi Ue decidono di ricollocarsi sull’isola (l’Italia non ha accettato invece la linee guide del programma di ricollocamento proposto dall’Europa, ndr). Se consideriamo le dimensioni del nostro territorio, la nostra densità abitativa e il PIL, un migrante a Malta equivale a 411 in Italia», conclude.
Quanto al Primo Ministro Joseph Muscat, il suo portavoce fa sapere che Malta resta aperta e collaborativa a ogni soluzione di breve e lungo termine alla critica questione migratoria, purchè tutta l’Europa si impegni e non deleghi la responsabilità alle sole “porte”, ovvero a quei Paesi che, affacciandosi sul Mediterraneo, si trovano per primi a fare fronte alle emergenze. «Al di là di ogni critica e polemica, Malta considera l’Italia un partner strategico e un alleato con il quale collaborare alla costruzione di un tavolo di lavoro comune».
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