Il momento di dire grazie

il momento di dire grazie

Amo la Festa del Ringraziamento, perché amo la parola grazie. E la gratitudine che ne segue. In particolare, amo le persone che sanno essere grate. Quelle che non hanno paura di riconoscere quanto gli altri siano importanti nella loro vita. E quanto l’Universo, oggi giorno metta nel loro piatto: salute, casa, cibo, amicizie, amori, famiglia.

Certo, ci sono giorni in cui è più difficile ringraziare. Perché qualcosa non è andato come speravamo, perché qualcuno ci ha deluso o peggio abbandonati, perché la salute ci ha momentaneamente abbandonato, o soltanto perché quel vicino o quel collega ci sembrano particolarmente insopportabili.

L’altro giorno, mentre da Bolzano salivo verso l’Alpe di Siusi, tutto pensavo fuorchè alla gratitudine.

Ma poi ho incontrato Cinzia, l’autista che, da programma, avrebbe dovuto accompagnarmi all’Adler Mountain Lodge. E lei mi ha insegnato, durante il tragitto, un altro modo di dire grazie. A se stessi. Perché ogni giorno dobbiamo ringraziarci per quello che siamo, per essere ancora in piedi –in questo caso, in auto- pronti a lottare o soltanto a vivere la nostra miglior vita possibile. Perché ogni giorno, con un semplice grazie, rinnoviamo il nostro legame con il mondo che ci circonda. E vogliamo che sia il più autentico.

Oggi, nel Thanksgiving Day che festeggiano gli Americani e i Canadesi, voglio organizzare la mia piccola, personalissima, cerimonia di ringraziamento.

Niente tacchino, qui siamo vegetariani. Ma tanti pensieri di amore e affetto per chi ci  accompagna ogni giorno nel nostro cammino. E per noi stessi, che ogni giorno decidiamo di alzarci e di continuare a mettere un passo dietro l’altro, un mattoncino sopra l’altro, un cuore dentro l’altro.

Quindi, grazie Cinzia. Grazie Fede. Grazie Thankgiving Day. A proposito, sapete come e perché è nata la tradizione di festeggiare l’ultimo giovedì di novembre?

Il Ringraziamento è una festa di origine cristiana osservata negli Stati Uniti d’America (il quarto giovedì di novembre) e in Canada (il secondo lunedì di ottobre) in segno di gratitudine verso Dio per il raccolto e per quanto ricevuto durante l’anno trascorso.

Risale a una celebrazione avvenuta nel 1621 e ripetuta in modo più documentato nel 1623. Quando fu effettuato il raccolto nel novembre 1623 William Bradford, Governatore della Colonia fondata dai Padri Pellegrini, a Plymouth, nel Massachusetts, emise l’ordine:

«Tutti voi Pellegrini, con le vostre mogli e i vostri piccoli, radunatevi alla Casa delle Assemblee, sulla collina… per ascoltare lì il pastore e rendere Grazie a Dio Onnipotente per tutte le sue benedizioni.»

I Padri Pellegrini, perseguitati in patria per la loro adesione ad un cristianesimo rigorosamente calvinista, decisero all’inizio del diciassettesimo secolo di abbandonare l’Inghilterra e andare nel Nuovo Mondo, l’attuale America del Nord: 102 pionieri (52 uomini, 18 donne e 32 bambini) imbarcati a bordo della Mayflower, arrivarono sulle coste americane nel 1620, dopo un duro viaggio attraverso l’Oceano Atlantico; durante il viaggio molti si ammalarono e alcuni morirono. Quando arrivarono, con l’inverno ormai alle porte, si trovarono di fronte a un territorio selvatico e inospitale, fino ad allora abitato solo da nativi americani. I Pellegrini avevano portato dall’Inghilterra semi di vari prodotti che si coltivavano in patria e li seminarono nella terra dei nuovi territori. Per la natura del terreno e per il clima, la semina non produsse i frutti necessari al sostentamento della popolazione, per cui quasi la metà di loro non sopravvisse al rigido inverno. Questa situazione rischiava di riproporsi anche l’anno successivo se non fossero intervenuti i nativi americani, che indicarono ai nuovi arrivati quali prodotti coltivare e quali animali allevare, nella fattispecie il granoturco e i tacchini.

Dopo il duro lavoro degli inizi, i Pellegrini indissero un giorno di ringraziamento a Dio per l’abbondanza ricevuta e per celebrare il successo del primo raccolto. I coloni invitarono alla festa anche gli indigeni, grazie ai quali avevano potuto superare le iniziali difficoltà di adattamento ai nuovi territori, gettando le basi per un futuro prospero. Nel menù di quel primo Ringraziamento americano ci furono pietanze che divennero tradizione – in particolare il tacchino e la zucca – insieme con altre carni bianche, carne di cervo, ostriche, molluschi, pesci, torte di cereali, frutta secca, noccioline e caramelle.

Nei secoli successivi la tradizione del Thanksgiving si estese a tutto il Paese, ma le tredici colonie (i primi stati americani) non celebrarono contemporaneamente il Giorno del ringraziamento fino all’ottobre del 1777, quando ne fu indetto uno per festeggiare la vittoria contro gli inglesi a Saratoga nella guerra per l’indipendenza. Fu George Washington, il primo presidente degli Stati Uniti d’America, a dichiarare la festa per tutti gli stati nel 1789 , proclamando una giornata nazionale di ringraziamento. Molti risero dell’idea, a cominciare da Thomas Jefferson, che da presidente non vi diede alcun seguito. Ma a metà del XIX secolo il Thanksgiving era ormai diffuso nella maggior parte del territorio americano e osservato da tutti gli strati sociali, dai ricchi ai meno abbienti. Perché tutti hanno diritto ad essere felici. E non c’è felicità senza gratitudine.