Il profumo del mosto selvatico (e innamorato)

Il profumo del mosto selvatico (e innamorato)

Chi dice vino, dice donna. Proseguono gli incontri One to Wine con Le Donne del Vino. Questa volta, chiacchiero con Silvia Mandini, responsabile marketing e comunicazione di Mossi Aziende Agricole Vitivinicole, l’azienda che gestisce insieme al marito Marco Profumo.

«La mia relazione con il vino è iniziata quando avevo circa 11 anni, nel garage di casa dei miei genitori, a Monte San Pietro (BO); per due weekend consecutivi mio padre mi coinvolgeva nell’imbottigliamento del vino sfuso in damigiana (pignoletto e sangiovese). Chiacchieravamo, a volte cantavamo le canzoni trasmesse dalla radio, sintonizzata sempre su Rai Radio 2. Ricordo come fosse ora il profumo del vino caduto sul pavimento di rosse piastrelle di terracotta», racconta. A 18 anni Silvia Mandini si trasferisce a Milano, prima per studiare all’Università e poi per lavoro, e fino ai 31 anni gli incontri con il vino sono stati occasionali: compleanni, cene con amici o aziendali, aperitivi. Ma quando si ritrova a vivere con il marito sui Colli Piacentini… la scelta di acquistare la Cantina Mossi nel 2014. «Era una giornata invernale, nuvole basse, una lieve pioggerellina che rendeva umidi anche i pensieri; riuscii a vedere l’azienda sbirciando da dietro la siepe. Dissi sicura: “Questa è casa nostra”», rivela. «Da allora, è iniziata una nuova vita: sono rinata tra i vigneti di Albareto dove ho ritrovato le mie origini e il mio futuro. Ma il vino non era più solo un mezzo per stare insieme in famiglia, un veicolo per svagarsi, era diventato un lavoro. È il mio lavoro. La relazione tra me e il Vino è stata formalizzata da un contratto aziendale come Responsabile Marketing e Comunicazione e, più in profondità, è diventato un pensiero quotidiano, perché tutt’ora non mi è ancora chiaro come domare la materia né cosa voglio ottenere. Ho studiato, frequentato corsi tecnici, manageriali, sono membro dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino, di ONAV, ma ancora oggi non so rispondere alla domanda “Che cos’è il vino per te?”. In realtà non c’è una sola riposta, non c’è una risposta che possa valere per un tempo abbastanza lungo da essere considerata “definitiva”. Più passa il tempo, più assaggio vini e conosco persone che lavorano nel settore e più capisco che il vino è una materia multiforme con cui ciascuno si rapporta in maniera estremamente personale. Ecco, sì. Produrre vino è estremamente personale e intimo. E chi fa questo mestiere ogni giorno mette nel vino un po’ di sé».

Il primo sorso non si scorda mai? 

«Prima di tutto l’aroma e poi il sapore di vino rosso, ma non ricordo la tipologia! Un giorno l’ho assaggiato aspirandolo direttamente dal tubo di gomma usato per travasare il vino dalla damigiana alla riempitrice… nel garage di casa dei miei genitori, a Monte San Pietro (BO), dove imbottigliavo con mio padre le damigiane a suon di musica. Avevo circa 14 anni e lo ricordo come fosse ora: avrei voluto che il garage profumasse di vino tutto l’anno».

Una splendida annata…

«2016, perché il tempo meteorologico è stato di aiuto alla maturazione equilibrata delle uve, sia bianche che rosse; un’annata che ci ha permesso di lavorare serenamente e con metodo in campagna e in cantina».

…e una pessima…

«Non sono mai pessime: ogni annata presenta delle difficoltà che affrontiamo utilizzando l’esperienza maturata in questi anni e grazie ai nostri preziosi consulenti».

Un calice di? 

«Callas 2011 del Monte delle Vigne».

Allontana da me questo calice… 

«Non berrei mai un vino in cui il produttore per primo non crede o lo presenta senza passione».

Galeotto fu il vino e chi lo bevve…

«Il Sangue di Giuda di Giorgi, Oltrepo Pavese, durante la prima cena a cui fui invitata dal mio futuro marito. Era dicembre, una settimana prima di Natale (2008); ero in compagnia della mia migliore amica, Greta, insieme ai tanti amici di Marco».

In vino veritas?

«Con moderazione. Oltre è solo eccesso».

Le mille bollicine… -Champagne sì o no?

«Metodo Martinotti: il metodo di spumantizzazione in grandi contenitori è stato inventato dal grande enologo e viticoltore italiano Federico Martinotti con brevetto depositato a Torino nel 1895, cioè ben 12 anni prima che il francese Eugene Charmat ne riprendesse l’idea originaria e trovasse migliori condizioni per la sua commercializzazione e diffusione».

Chi dice vino dice donna?

«Dice tante cose, spesso troppe per essere raccontante dietro ad un banco d’assaggio. Le donne sono portate al racconto e ogni vino ha una sua storia».

Via con il vino -il suo viaggio più bello tra le vigne

«Fare yoga tra i vigneti della Val Tidone (PC)».