Libera come Marilyn

Era una donna padrona del suo destino. Una stella capace di grandi passioni, ma anche di lasciare gli uomini della sua vita, quando non li amava più. A 60 anni dalla scomparsa, un film celebra Marilyn Monroe. E su Grazia in edicola, io che le ho dedicato il romanzo La Matematica delle Bionde, spiego perchè questa diva resterà un esempio per sempre.

“A volte devo dimenticare ciò che desidero e ricordare ciò che merito”: tra le citazioni attribuite a MM, questa è la mia preferita. Tanto che, quando si è trattato di mandare in stampa il mio romanzo La matematica delle bionde ispirato all’icona più bionda del cinema, l’ho scelta come epigrafe. E la sceglierei ancora, perché sintetizza l’essenza dell’esperienza umana e professionale di Marilyn, la prima vera star del sistema Hollywood. Una donna, prima che un’attrice, che si è fatta da sé in un mondo di uomini, e negli anni Cinquanta, quelli dei primi timidi tentativi di emancipazione negli Usa del Big Dream, delle libertà e delle possibilità per tutti ma anche del puritanesimo, del razzismo, del sessismo, del maccartismo prima del kennedismo.

Dietro l’immagine meticolosamente studiata e costruita della bomba bionda e sexy (innumerevoli gli interventi richiesti dalla Monroe alla chirurgia estetica degli albori -naso, sopracciglia, denti, labbra, persino l’attaccatura dei capelli cotonati e platinati da Kenneth Batelle), c’era di più.

Ed è quel più che oggi fa di MM, anzi di Norma Jeane Mortenson all’anagrafe (1926-1962), un mito universale, trasversale e senza tempo, e che il regista Andrew Dominik con l’attrice rivelazione Ana de Armas, già Bond girl, cercano di raccontare nell’attesissimo docufilm di Netflix Blonde, basato sull’omonimo e sterminato romanzo di 700 pagine di Joyce Carol Oates. Il lungometraggio, coprodotto da Brad Pitt e già bollato come NC17, ovvero vietato ai minori di 17 anni negli Usa, sarà trasmesso dal 22 settembre, e intende riaprire tanti “cold case” della protagonista hot di A qualcuno piace caldo, Quando la moglie è in vacanza e Gli uomini preferiscono le bionde: la morte innanzitutto, avvenuta sessant’anni fa il 5 agosto 1962 in circostanze mai definite e  forse più banali di quanto finora ipotizzato -probabilmente il mix di antidolorifici e antidepressivi prescritti in tempi diversi da medici diversi ma assunti erroneamente insieme – , ma anche le pagine più intime della sua vita, dall’infanzia difficile di bimba trascurata dalla mamma single e affidata a diverse famiglie, agli esordi come modella e i primi, fatidici, provini in balìa di produttori che oggi il movimento #metoo non esiterebbe a etichettare come sex predators e forse uno stupro, ai matrimoni frettolosamente celebrati e altrettanto frettolosamente disfatti (James Dougherty, Joe DiMaggio, Arthur Miller), dal dramma della mancata maternità alle relazioni “pericolose” -non ultima la liaison con mister President John Kennedy, altro “maschio predatore” dal notorio e vorace appetito sessuale, che installò alla Casa Bianca il leggendario “passaggio Hepburn” da cui, si dice, la Hepburn e le amanti accedevano di nascosto o quasi.

Ma c’è di più, appunto. Ed è la storia di una primadonna che ha fatto la Storia: coetanea di Queen  Elizabeth, con la quale si incontrò a Londra nel 1956  -indimenticabile l’inchino dell’attrice (su Youtube, ndr) , promotrice di Ella Fitzgerald quand’era bannata dal Mocambo perchè afroamericana, studiosa e accanita lettrice -alla sua morte, ha lasciato oltre 500 volumi, MM si è conquistata, di pellicola in pellicola il diritto di “appartenersi”, di non essere soggetta ai contratti capestro delle major hollywoodiane, fino a fondare, unica e per prima, la sua casa di produzione cinematografica Marilyn Monroe Production, esempio rivoluzionario di empowerment al femminile.

MM sapeva stare sugli schermi, ma anche rompere gli schemi. E “rompere” barriere, ruoli, convenzioni è ciò che fanno i miti. Più di tutto, sapeva di essere doppia, Marilyn per molti e Norma Jeane per pochi, pochissimi. Con una lucidità preveggente e sorprendente, conosceva la differenza tra l’immagine pubblica e la realtà, tra ciò che era talmente fake da sembrare vero e ciò che era vero al punto da sembrare incredibile. E la usava.

“Gli uomini si addormentano con MM e si svegliano con Norma Jeane” diceva. E in quel passaggio tra la diva e la donna c’era e c’è tutta la sua forza, ma anche la sua debolezza.

Non a caso il suo miglior ritratto è una canzone di Elton John, maestro tra fake e realtà, la celeberrima A Candle in the Wind originariamente composta per onorarla e poi riproposta per commemorare l’altro mito biondo, Lady D. E non a caso, pochi mesi fa la regina a stelle e strisce del fakish (da fake, falso, e trash, grottesco) Kim Kardashian si è letteralmente cucita addosso ai Met Gala il vestito con 4000 cristalli che Marilyn indossò al compleanno di Kennedy nel 1962– danneggiandolo, pare, irrimediabilmente.

Non a caso, infine, Blonde arriva in concomitanza con Elvis, il film di Baz Luhrman con Austin Butler e cast sellare, biopic del re del rock che ha smosso con una mossa -la celebre pelvis in diretta tv -, il mondo musicale.

Perché è così che fanno i miti: ritornano, per scuoterci ancora e ancora.

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