Lilibet e la corona

Mentre la Royal Family affronta le accuse di razzismo, è nata Lilibet Diana, figlia di Harry e Meghan. La bambina, con il nome della regina e di Lady D., potrebbe aiutare i Windsor a riappacificarsi. E vi racconto come su Grazia.

Non sventola soltanto il fiocco rosa in casa Windsor per la nascita, lo scorso 4 giugno, di Lilibet Diana Mountbatten-Windor, secondogenita dei duchi di Sussex, ovvero Harry e Meghan, già genitori del piccolo Archie, 2 anni.

Con lei, si è alzata anche una prima, timida, bandiera di pace tra le due sponde dell’Atlantico e le due ali di una famiglia, quella reale, divisa da separazioni, screzi, sospetti, accuse di razzismo e liti, mediatiche e non.

Con i suoi pochissimi giorni di vita, i suoi tre chili e mezzo di peso e un nome che è un ostentato omaggio alla regina Elizabeth, soprannominata Lilibeth (o Lilibet) da sua madre e poi dal consorte, e da una ristrettissima cerchia di famigliari e amici, la piccola è già il simbolo di una possibile e auspicata riappacificazione, rafforzata dal secondo appellativo, quello della compianta Lady Diana (1961-1997).

Da un lato, in Europa, c’è The Firm, l’austera “fabbrica” di Buckingham Palace ammministrata da Sua Maestà, vedova di Filippo (1921-2021), il figlio Carlo e il nipote William con la moglie Catherine e prole, dall’altro gli esuli d’America, ovvero Harry, Meghan, Archie e la neonata che, all’anagrafe, porta già impresso un destino e forse una missione: sanare lo strappo che i suoi genitori hanno provocato nella Royal Family con la fuga negli Usa e la rinuncia agli oneri e agli onori di corte e, infine, con le spinosissime accuse di razzismo lanciate nel corso di una chiacchierata con la signora della tv a stelle a strisce Oprah Winfrey.

Non a caso, i media negli USA hanno subito ribattezzato Healing Lil la nuova baby royal, ovvero Lil che guarisce cuori, relazioni e forse anche i delicati equilibri istituzionali della Corona.

Lilibet Diana, del resto, ha già stabilito un record. È la prima erede al trono (ottava nella linea di successione) a nascere fuori dai confini della Gran Bretagna e precisamente a Santa Barbara, California, terra natia di Meghan Markle. La quale ha confessato all’amica Oprah Winfrey e milioni di spettatori (12 milioni nella sola Gran Bretagna e 17 milioni negli Stati Uniti) di aver sofferto di depressione e pensieri suicidi mentre era in dolce attesa di Archie, a causa di alcuni commenti razzisti e inopportuni sul colore della sua pelle e di quella del nascituro, oltre che di un’atmosfera post-colonialista che ancora aleggia nella compagine reale.

Afro-americana per parte di madre, l’ex attrice di Suits non ha mai fatto mistero delle sue battaglie per l’equità e l’integrazione razziale, tanto da aver stretto amicizia con l’ex first wife Michelle Obama e dato voce e sostegno al movimento attivista Black Lives Matter nel 2020, in seguito alla morte di George Floyd.

Harry e Meghan hanno anche ribadito più volte e in diverse situazioni il dovere per la monarchia inglese di fare i conti con il suo passato colonialista, abbandonando e contrastando qualunque residuo suprematista.

Alle accuse, la Royal Family ha reagito compatta, negando e tentando di zittire le polemiche, ma le ripercussioni mediatiche e politiche non si sono fatte attendere, soprattutto in un difficile momento di transizione per l’Inghilterra prossima alla Brexit, in una monarchia indebolita dallo scandalo Epstein che ha coinvolto il principe Andrew, con una regina provata dalla perdita del suo consorte dopo 75 anni insieme, e l’ipotesi di una successione più vicina e forse necessaria, per imprimere una svolta a una Corona che non è mai stata più popolare -grazie a Netflix e alla serie The Crown– ma anche messa in discussione dalle nuove generazioni sia nella madre patria che nelle ex colonie del Commonwealth, dove i “non bianchi” sono oltre due miliardi

A buttare benzina su un fuoco, quello dei sospetti razzisti già acceso dalla Markle, è la scoperta di alcuni documenti riguardanti le selezioni del personale a Buckingham Palace dagli anni Sessanta in poi.

Pubblicate dal quotidiano The Guardian, da sempre ostile alla monarchia e ai suoi protagonisti, le pagine ritrovate all’Archivio Nazionale rivelano l’esistenza di una precisa policy che esentava la regina dall’assunzione di impiegati di colore o di immigranti residenti da meno di cinque anni in Gran Bretagna, tra i ’60 e i ‘90, fatta eccezione per lo staff dei domestici.

In particolare, sembrerebbe che, negli anni Settanta, Elisabetta II abbia fatto pressione sul Parlamento utilizzando il cosiddetto Queen’s Consent, quel meccanismo che le permette di avere voce in capitolo, proprio per escludere la Corona dalle conseguenze e dalle vertenze previste delle leggi che allora stavano entrando in vigore sui temi dell’integrazione e della discriminazione anti-razziale.

In tutta risposta, Buckingham Palace ha dichiarato che al presente la Corona adempie tutti gli obblighi previsti dall’Equality Act, sia nei principi che nella prassi. E che accuse basate su conversazioni di oltre cinquant’anni fa non dovrebbero essere utilizzate per trarre conclusioni sull’operato attuale.

Una dichiarazione che non ha chiuso la partita, semmai aperto il desiderio di una apologia o una smentita. Di sicuro, non è più il tempo per il gioco del silenzio, una strategia di cui la regina ha fatto largo uso nei suoi 69 anni di regno. I sudditi, soprattutto gli under 60, chiedono risposte, pretendono chiarimenti, invocano una presa di posizione. E un futuro all’insegna della trasparenza. Una nuova storia da scrivere, come quella di Lilibet Diana.

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