Metti l’amore nel Barolo

Metti l'amore nel bicchiere

Chi dice vino, dice donna. Proseguono gli incontri One to Wine con Le Donne del Vino. Questa volta, chiacchiero con Valentina Abbona, responsabile marketing e comunicazione per le Cantine dei Marchesi di Barolo, nate più di duecento anni fa nel cuore delle Langhe, nel palazzo prospiciente il Castello dei Marchesi Falletti.

Valentina Abbona rappresenta, insieme al fratello Davide, la sesta generazione della famiglia di Pietro Abbona che, operando con tenacia e competenza nelle cantine paterne, insieme al fratello Ernesto ed alle sorelle Marina e Celestina, riuscì ad acquistare l’Agenzia della Tenuta Opera Pia Barolo, ovvero le antiche cantine di vinificazione ed affinamento dei Marchesi di Barolo.

Diplomatasi presso il liceo Scientifico di Alba, Valentina si trasferisce a Milano dove si laurea all’Università Bocconi in Economia Aziendale.

La sua formazione personale e professionale cresce  grazie a numerosi viaggi e a programmi di scambio internazionale, che le permettono di approfondire la materia di studio, e che la portano dapprima a Manchester, a Hyderabad in India, e a New York. Il suo percorso dal carattere fortemente “internazionale” continua a Shanghai, città in cui lavora per circa un anno presso una piccola società di consulenza.

Durante il periodo universitario muove inoltre i primi passi all’interno dell’azienda famigliare, aiutando i genitori nella gestione commerciale, e accompagna la madre Anna nei numerosi viaggi business in tutto il mondo.

Dal 2012 lavora a tempo pieno in azienda, occupandosi dei mercati esteri e gestendo la comunicazione aziendale.

Il primo sorso non si scorda mai? 

«Più che un sorso, ricordo la curiosità e l’emozione  di quando  papà mi prendeva in braccio, sul finire della cena, e mi faceva sentire i profumi nel suo elegante bicchiere di vino.
Il primo vero sorso consapevole fu di uno splendido Ribera del Duoero bevuto con papà, la mia prima cena fuori “da grande”, il primo bicchiere “tutto mio”».

Una splendida annata…

«Sicuramente il 2010 e il 1982 – grande annata anche per il calcio italiano!».

…e una pessima…

«Fortunatamente, negli ultimi tempi non si annoverano pessime annate ma parlando con le persone più grandi di me, tutti ricordano il 1972 come un bruttissimo anno per il Barolo. I produttori, riuniti in seduta nel Castello di Grinzane Cavour, volontariamente decisero addirittura di rinunciare a tale millesimo, non ritenendolo adatto per l’invecchiamento e la maturazione migliorativa».

Un calice di? 

«È impossibile avere un solo vino preferito! Il vino è emozione ed ogni giorno viviamo infinite emozioni diverse, per cui potremmo amare infiniti vini diversi a seconda dello stato d’animo, delle persone con cui siamo o banalmente del piatto che stiamo per mangiare. Giocando in casa, però, amo tutte le sfumature del Nebbiolo: il fascino delle nostre colline, ricche di sfaccettature, racchiuso nella complessità di un profumo e nell’emozione di un sorso. Un profumo ed un sorso che mi riportano immediatamente a casa, con il cuore, ovunque io sia».

Allontana da me questo calice… 

«Un vino che sa di tappo!».

Galeotto fu il vino e chi lo bevve…

«Soprattuttoil Barolo, vino famoso e apprezzato in tutto il mondo, capace di conquistare e sedurre con il suo sapore anche i palati più raffinati ed esigenti! La magia di questo vino cominciò infatti nel 1806 con una storia d’amore, quella tra il Marchese di Barolo, Carlo Tancredi Falletti, e la nobildonna francese Juliette Colbert de Maulévrier, discendente del ministro delle finanze del Re Sole, che realizzò magnifiche cantine, per consentire al Nebbiolo la completa fermentazione e l’affinamento in grandi botti di rovere pregiato. A questo nobile vitigno, potente e austero con un sapore ancor più unico ed esclusivo, come da tradizione francese, diede il nome di Barolo in onore dalla sua terra d’origine».

In vino veritas?

«Il vino, nel giusto equilibrio, apre i cuori e abbatte le barriere».

Le mille bollicine… -Champagne sì o no?

«Champagne, ma anche Alta Langa».

Chi dice vino dice donna?

«La storia delle nostre cantine è profondamente legata alle donne e alla loro storia personale, in particolare alla Marchesa Giulia Falletti di Barolo, di origini francesi. Conoscitrice del buon vino, trasferitasi in Piemonte dopo il matrimonio con Carlo Tancredi Falletti di Barolo, Giulia capì le potenzialità delle uve che si allevavano a Barolo: dalla sua visione e dalla percezione delle nostre terre nacque quello che oggi è considerato il re dei vini e, non a caso, il vino dei re, omonimo del nostro paese. Più direttamente collegate alla storia della nostra famiglia, arriviamo alle prozie di papà, che considerarono un vero e proprio dovere quello di gestire l’azienda, acquistata dal fratello. Oggi, la stessa passione delle nostre ave si ritrova in mia mamma Anna, che crede fermamente in quest’azienda e ne rispecchia gli ideali, seguendo sempre il proprio istinto. Anch’io, come le mie antenate e come la mamma, credo fortemente in questo territorio, nella sua storia, nella collocazione geografica così particolare da renderlo unico e speciale. E credo nei sogni che tutto questo porta con sé: i miei, che spesso, per quanto riguarda le cantine, sono gli stessi della mia famiglia. Sogni al femminile? Forse. E questo grazie ai tantissimi esempi di donne forti e decise ai quali posso fare riferimento».

Via con il vino -il suo viaggio più bello tra le vigne

«Fu un viaggio nel Sud Est Asiatico, quando ancora studiavo a Shanghai, il mio più bel viaggio tra le vigne. Un tour di degustazioni in cui mamma mi chiese di accompagnarla fu il momento in cui tutto cambiò per me. Ma la cosa più interessante, a pensarci adesso, è che il cambiamento che sembrava allora così repentino era qualcosa in atto da molti anni, direi da tutta la vita. Me ne accorgo ripensando a tutte le volte in cui non credevo di sentire la mancanza di casa, ma ne ritrovavo subito qualche ricordo appena qualcuno stappava una delle bottiglie della nostra cantina. Forse perché l’olfatto è il senso che più riporta alla mente i ricordi o forse solo perché, in fondo, la passione per il vino c’era già, ma era solo un pochino offuscata dalla vita frenetica di tutti i giorni. Sono tornate alla mente tutte le passeggiate mattutine tra i filari, durante le quali papà mi spiegava perché un grappolo fosse diverso dall’altro, o le serate passate sulle sue ginocchia ad assaggiare, con la punta della lingua, il vino. Insomma, apparentemente all’improvviso, ma a ripensarci – invece – piuttosto lentamente, ho sentito il bisogno di tornare a casa e la necessità di far parte della nostra azienda. Così è cambiato anche il mio rapporto con il vino: si è fatto più profondo, più appassionato».