Una regina per sempre

Oggi dico addio a Queen Elizabeth. In diretta e in tv come ho fatto poco più di una settimana fa, alla notizia della sua morte: Rai Uno, Rai Tre, Real Time oggi, in diretta integrale per commentare il funerale che farà storia, anzi leggenda.

E sono commossa, perchè dopo averla raccontata per più di dieci anni sui giornali e averla inserita in ogni mio romanzo con almeno una citazione, non mi pare vero che non ci sia più. Con lei, se ne va un pezzo di tutti noi, anche di chi, per i Royals, non ha nessun interesse. Ma sfido a trovare una sola persona nel mondo che non abbia mai sentito parlare di Lady D, Charles e, appunto, Elizabeth II.

È stata la protagonista per 70 anni e ha trasformato per sempre il suo regno. Perchè affrontando pubblicamente gli scandali di corte e scegliendo di aprire il suo palazzo ai grandi della storia è diventata il punto di riferimento del suo Paese e un’icona pop in tutto il mondo.

E qui e su Grazia in edicola, la celebro così:

The end: finisce così il regno di Sua Maestà la regina Elisabetta II, come un kolossal lungo settant’anni, di cui è stata protagonista, regista, sceneggiatrice.

Icona di un secolo, anzi due: il Diciannovesimo e il Ventesimo, vissuti sul trono della monarchia contemporanea più importante e chiacchierata.

Un impero nel nome dell’unica sovrana che ha regnato così a lungo, e per caso. Elizabeth Alexandra May -nata nel castello di Balmoral il 21 aprile 1926 dove è morta l’8 settembre scorso- non era destinata a indossare la corona. Voleva quello che vogliono le principesse delle favole dentro i castelli: sposare il suo principe azzurro Philip (1921-2021). E vivere felici e contenti.

Invece, la sua storia è diventata la Storia. E la Storia, lo scorso 8 settembre 2022, l’ha consegnata al mito. London Bridge is down,il ponte di Londra è crollato nel codice del protocollo reale previsto in caso di morte di Sua Altezza, a settant’anni da un altro codice: Hyde Park Corner, re Giorgio VI si è spento.

Al telefono, in Kenya, da figlia apprende la scomparsa del padre. Da principessa diventa regina. L’incoronazione avviene il 2 giugno 1953 e viene trasmessa in tv in eurovisione. Nasce la prima monarchia mediatica, nasce la regina pop, quella che i sudditi sono curiosi di conoscere anche negli aspetti privati. Nel 1965 a Berlino Ovest, in piena Guerra Fredda, scuote l’Occidente come solo una donna sa fare, con il soprabito giallo canarino e il cappello in nuance: la Germania deve tornare in Europa, dice l’outfit. E gli outfit continueranno a parlare: in Sudafrica, negli Usa, in Cina, In Irlanda, all’Onu. Nello stesso anno, nomina quattro baronetti dell’Ordine dell’Impero Britannico. Appartengono alla working class e sono il simbolo della nuova Inghilterra. Si chiamano The Beatles e intonano Her Majesty.

Nel 1970, in Australia, molla l’auto e si avvicina ai tanti accorsi per salutarla, a piedi. È il primo Royal Walkabout, pietra miliare sulla strada della “popolarizzazione”.

La famiglia reale diventa con lei una Royal Firm: da un lato rigorosissimo marchio di fabbrica e continuità delle istituzioni che lei incarna, dall’altro fenomeno di costume. Il 29 luglio 1981, giorno del matrimonio del secolo tra Carlo, il primogenito ed erede al trono, e Lady D- i Royals sfoggiano carrozze, diademi, titoli, inchini ma sono anche pop star. L’evento è seguito da oltre 750 milioni di persone in 74 Paesi. È la fama, i paparazzi, i gossip, gli scandali mischiati ai doveri di corte.

Undici anni e due figli dopo -William e Harry- Carlo e Diana annunciano la separazione. È il 1992 ed è il primo divorzio nella monarchia britannica, a cui si sommano quello di Anna, la secondogenita, da Mark Phillip, e di Andrea, il terzogenito, da Sarah Ferguson.

Nel 1997, forse l’unico passo falso: all’indomani della tragica morte di Diana nell’incidente automobilistico a Parigi, sotto il ponte de l’Alma, Sua Maestà resta a Balmoral invece di precipitarsi a Londra, dove fiumi di persone stanno manifestando affetto e dolore. Il mondo piange la scomparsa della “Candle in the Wind”, come canta Sir Elton John, altro baronetto regale. The Queen appare algida, impassibile. E solo su consiglio di Toni Blair abdica al dialogo, all’empatia, alla commozione. Da lì, la regina volta pagina. È ora di “connettersi” e dialogare, senza levare rispetto e impegno alla Corona. E osa. Oltre a presidenti, primi ministri e papi, incontra i personaggi che, come lei, stanno facendo la storia, da Madre Teresa ad Angelina Jolie. Spedisce mail, twitta, si “paracaduta” nel mondo del cinema accanto a Daniel Craig, ride con I Simpson, sbanca al cinema con The Queen e sbarca su Netflix con The Crown. Accoglie a braccia aperte la commoner Kate Middleton, ora principessa di Galles, e l’attrice americana di origini afro Meghan Markle. Sdogana Camilla, storica “amante” di Carlo e spina nel fianco, e la nomina Queen Consort. Conforta i sudditi in pandemia come una nonna e un capo di Stato, mostra i segni della vedovanza e dell’amore di una vita, incassa le dimissioni royal di Harry e Meghan, traghetta la sua istituzione tra gli scogli del sex gate di Andrea. E prende il tè con l’orsetto Paddington a ritmo di The Queen, la band che porta il suo nome, per festeggiare il Platinum Jubilee insieme ai nipoti che le fanno le boccacce. Ma resta se stessa. Fedele al suo dovere, ai suoi giri di perla, ai soprabiti color pastello, ai cappelli, alle borsette, allo stesso taglio di capelli. All’impegno di regnare fino alla fine del mondo come l’abbiamo conosciuto. Con lei dentro.

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